Siciliani, calabresi e salentini, dialetti di Francesco Avolio – Enciclopedia dell’Italiano
Il territorio
La Sicilia, buona parte della Calabria e il Salento (la parte meridionale estrema della Puglia) formano l’area linguistica definita meridionale estrema. Tale territorio trova proprio nella sua posizione, al centro del Mediterraneo, e nel particolare rapporto fra le coste (dallo sviluppo molto esteso) e l’entroterra uno dei suoi elementi comuni e unificanti. Un altro è rappresentato dalla precoce e duratura presenza dell’elemento greco, dall’antichità a tutto il medioevo (e, in certi casi, fino ai nostri giorni; ➔ ), dovuta in primo luogo alla vicinanza e a quella rilevanza strategica che solo in tempi piuttosto recenti si è man mano trasformata nel suo opposto, ossia nella distanza e marginalità rispetto alle aree economicamente forti e ai centri decisionali d’Italia e d’Europa, facendo divenire tutta l’area una sorta di lungo corridoio senza sbocco.
Accanto a quello greco, numerosi sono stati anche altri apporti linguistico-culturali: dal latino all’arabo, dal provenzale allo spagnolo, senza dimenticare la diffusa e ancora visibile presenza albanese in Calabria e Sicilia (➔ ), la presenza italiana settentrionale (gallo-italica) in Sicilia e le tracce lasciate dal giudaismo, nel Salento e altrove (➔ ). Scarsi, invece i residui della componente germanica medievale, un po’ più visibili nell’alta Calabria, al confine con l’area meridionale.
La prova degli stretti rapporti fra le parti dell’area è data anche dalla toponomastica (➔ ). Nell’antichità, infatti, era il Salento a portare il nome di Calabria, che, nel corso dei secoli, si estese alla vicina Lucania. Uno degli elementi che contribuirono poi a determinarne il graduale spostamento verso sud, fino a far uscire dall’uso, nel VII secolo, il nome prelatino e latino di Brutium (che designava, appunto, la penisola calabrese), fu certamente il progressivo ritrarsi dell’influenza bizantina, che finì per creare quell’articolazione fra Calabria settentrionale (latina e longobarda) e meridionale (greca e bizantina) ben visibile ancora oggi proprio sul piano delle tradizioni dialettali (cfr. Rohlfs 1972), e simile alla parallela bipartizione linguistica fra Puglia e Salento (cfr. Mancarella 1975; Stehl 1988).
Le città hanno sempre svolto, in questo particolarissimo contesto, un ruolo essenziale. Durante i circa due secoli e mezzo del periodo arabo (dall’831 al 1072), Palermo strappò definitivamente a Siracusa (rimasta a lungo grecofona) il ruolo di metropoli regionale (alterne furono invece le fortune di Agrigento); i cronisti dell’epoca la descrivono, ammirati, come una città sontuosa, paragonabile, per ricchezza, al Cairo o a Córdoba. Questo primato, però, soprattutto dopo il trasferimento della capitale a Napoli (XIII sec.), non impedì lo svilupparsi di altri poli urbani, tra cui, innanzitutto, Catania e, dopo il terremoto del 1693, di altri centri siciliani orientali di media grandezza che proprio allora furono dotati, come la città etnea, di un notevole impianto architettonico barocco (Noto, Ragusa, Modica). Palermo, Catania e Messina, inoltre, hanno comunicato e «comunicano tra loro scavalcando tutta la Sicilia» (Vàrvaro 1984: 278), il che non è stato certo senza conseguenze per le vicende linguistiche e culturali dell’isola: ad es., una variante che conquisti le tre città si guadagna «per ciò stesso la qualifica di siciliano comune» (ibid.) e tende, quindi, a imporsi anche altrove.
Degno di nota, poi, il fatto che nelle zone interne l’insediamento sparso sia piuttosto raro, mostrandosi invece netta la prevalenza di medi e grossi nuclei accentrati (con ampi spazi vuoti fra l’uno e l’altro), parecchi dei quali di recente fondazione (come Casteltermini, nell’Agrigentino) o rifondazione (come Grammichele, nel Catanese), altri di tradizione antica e medievale (ad es. Troìna, nell’Ennese). I contatti città-campagna e la stessa variabilità linguistica geografica (➔ ) vi assumono quindi aspetti peculiari, e sconosciuti altrove.
Sul continente, Lecce ha conteso a lungo, e con successo, alle altre città pugliesi (Bari inclusa) il ruolo di maggior centro culturale e intellettuale, senza però ostacolare lo sviluppo di cittadine minori (tra cui Otranto, Maglie, Gallipoli e, più a nord, Oria e Francavilla Fontana). Il già menzionato dualismo calabrese, visibile anche a livello geografico (l’istmo di Catanzaro), ha invece portato all’imporsi di un centro dominante tanto a sud (Catanzaro stessa) quanto a nord (Cosenza, che era già fra le più antiche città del Mezzogiorno); una suddivisione che solo nel periodo aragonese si sarebbe articolata, tramite l’istituzione di una Calabria ulteriore I, con capoluogo Reggio, e una Calabria ulteriore II, con capoluogo Catanzaro. Non va trascurato il ruolo svolto, a livello locale, da cittadine come Rossano, Paola, Crotone, Vibo Valentia (già Monteleone di Calabria) e Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia Lamezia (unitesi nel 1968 a formare Lamezia Terme).
Le varietà dialettali dell’area
Fenomeni comuni o maggioritari
I dialetti meridionali estremi si differenziano, nel loro complesso, da quelli dell’area meridionale (➔ ) per una serie notevole di caratteristiche, fra cui si possono ricordare alcuni tratti ben determinati.
(a) Un sistema vocalico tonico di soli cinque elementi, nel quale mancano le vocali chiuse /e/ ed /o/, e diversi suoni vocalici latini originariamente distinti si sono fusi tra loro: [ˈfilu] «filo» < fīlu(m), come [ˈnivi] «neve» < nĭve(m) e come [ˈtila] «tela» < tēla(m), ma [ˈbːɛɖːa] «bella» < bĕlla(m); [ˈluna] «luna» < lūna(m), come [ˈkruʧi] «croce» < crŭce(m) e [ˈsuli] «sole» < sōle(m), ma [ˈmɔrta] «morta» < mŏrtua(m). Secondo ricostruzioni ormai accettate dalla maggior parte degli studiosi, un simile sistema sarebbe il frutto del prolungato contatto, in epoca altomedievale, tra varietà romanze e greco bizantino, una lingua che fu, per secoli, di prestigio e di largo uso in tutta la nostra area, e che presentava, fra l’altro, proprio un notevole conguaglio di vari suoni vocalici sulle vocali estreme (cfr. Fanciullo 1984). Fanno eccezione solo il Salento più settentrionale, che ha un sistema di transizione con quello napoletano, e l’alta Calabria, ormai nell’area dei dialetti meridionali, in cui il sistema più diffuso è di tipo sardo (➔ ).
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