Federico II e la crociata pacifica: quel che la storia NON ci ha insegnato
di Marco Brando
Di fronte al dramma della guerra scatenata nel XXI secolo dalla Russia del presidente-autocrate Vladimir Putin contro l’Ucraina filo-occidentale presieduta da Volodymyr Zelensky, può venire in mente un potente del passato: l’imperatore Federico II di Svevia (1194 -1250), una vera star nel XIII secolo. In che senso? Il pretesto lo offre Fulvio Delle Donne, che insegna Letteratura latina medievale e umanistica all’Università della Basilicata, col suo ultimo libro: “Federico II e la crociata della pace”, Carocci editore, Roma 2022. Prima di svelare che cosa c’entri il grande sovrano normanno-svevo con i due principali protagonisti di una tragedia che sta mietendo decine di migliaia di vite, immaginiamo un versione ucronica dei nostri tempi, con avvenimenti immaginari che cambiano il corso della storia a noi nota.
Ecco, in quel mondo parallelo, Putin. È l’inizio di febbraio 2022. Deve prendere una decisione, le truppe sono pronte, i suoi carri armati sono lungo il confine. Le tensioni esistono dal 2014, quando la Russia aveva già occupato la penisola ucraina della Crimea, annettendola. Da Mosca, il capo della Chiesa ortodossa russa lo incita a scatenare una “guerra giusta” contro gli ucraini: “Non sopporteremo mai coloro che offuscano il confine tra santità e peccato e ancor più coloro che promuovono il peccato come esempio o come uno dei modelli di comportamento umano” (sono, ahimé, le vere parole pronunciate dal patriarca Kirill il 7 marzo, ndr). Il presidente russo è pronto a combattere, nonostante sia consapevole del fatto i problemi del suo “impero” siano soprattutto altri. Però a un certo punto manda un messaggio a Zelensky: “Vediamoci, parliamo e proviamo a trovare un accordo sul Donbass, il territorio che ci contendiamo, senza massacrarci ancora”. Il presidente dell’Ucraina, a sua volta consapevole dei problemi che ha su altri fronti, accetta. Prima fanno incontrare i loro emissari, dialogano loro stessi a quattr’occhi e – tra la disapprovazione e gli anatemi di chi li incitava al massacro e l’approvazione e gli scongiuri di chi ne avrebbe potuto fare le spese – trovano un accordo pacifico.
È noto che non sta andando così. Nel mondo reale non c’è stato alcun accordo e il 24 febbraio scorso la parola è passata alle armi, con l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Non si sa come andrà a finire. Sappiamo però che la tragedia forse era evitabile. Ed ecco che entra in gioco la vicenda di Federico II e della sua cosiddetta “crociata pacifica”. Dove la storia la vediamo come il filosofo Benedetto Croce (1866-1952): è il fatto, il documento dell’epoca studiata, e, al tempo esso, è la narrazione che di quel documento fa il giudizio dello storico: quindi è sempre “storia contemporanea”, perché “è evidente che solo un interesse della vita presente ci può muovere a indagare un fatto passato”. Ebbene, Delle Donne ha scritto il suo libro sull’impresa dell’imperatore normanno-svevo proprio con questa logica.
Un accordo diplomatico
Dunque, Federico II tra 1228 e 1229 guidò una crociata eccezionale e unica per almeno due aspetti. Primo motivo: non ci fu alcun combattimento, sebbene potenzialmente le truppe di entrambe le parti fossero pronte, né alcun spargimento di sangue. Al contrario, si concretizzò un accordo diplomatico tra l’imperatore e il sultano d’Egitto, al-Malik al-Kāmil (1179-1238), della dinastia curdo-musulmana ayyubide. Così per più di 10 anni Gerusalemme e la Terra Santa tornarono alla Cristianità, con il diritto dei musulmani (e degli ebrei) a svolgere nella stessa terra i loro culti e a viverci. Il secondo motivo? Sorprendentemente la crociata fu portata a termine con successo, senza morti sacrificati sull’altare delle religioni e della geopolitica, da un sovrano scomunicato. Infatti papa Gregorio IX nel 1227 lo aveva escluso dalla comunità dei cristiani con l’accusa di non aver ancora avviato la spedizione in Terra Santa, che aveva promesso a papa Innocenzo III (con la presa dalla croce) fin dai tempi della sua seconda incoronazione come re dei Romani, il 25 luglio 1215 ad Aquisgrana, in Germania; in base alla medesima promessa, il 22 novembre 1220 era stato incoronato imperatore in San Pietro, a Roma, da papa Onorio III.
Fatto sta che, nonostante la crociata conclusa positivamente, la scomunica nei confronti di Federico non fu revocata nemmeno dopo il suo ingresso a Gerusalemme e dopo che aveva consentito a pellegrini e fedeli di entrare nel Santo Sepolcro. Una circostanza che l’imperatore usò, a livello propagandistico, per sostenere che il successo in Terra Santa era stato frutto di un miracolo e che c’era un sua investitura diretta da parte di Dio, il quale gli aveva riservato una protezione speciale; tanto per sottolineare la prevalenza del ruolo imperiale, nei confronti dell’Onnipotente, sul potere esclusivo che si attribuivano da qualche tempo i pontefici di Roma. Un concetto “laico” che Federico sottolineò nei suoi messaggi trionfalistici e solenni rivolti a tutta la comunità cristiana
In realtà – come chiarisce lo stesso professor Delle Donne – né l’imperatore Federico II né il sultano al-Kāmil, nel XIII secolo, erano pacifisti o tolleranti. In primo luogo perché il concetto di tolleranza come lo intendiamo noi oggi si è sviluppato sotto l’influenza dell’Illuminismo, movimento politico, sociale, culturale e filosofico che si sviluppò in Europa nel corso del XVIII secolo. In secondo luogo, perché il pacifismo – inteso come insieme di dottrine, idee e movimenti d’opinione che rifiutano la guerra come mezzo per risolvere i conflitti – è nato ancora più tardi, nel XIX secolo. Insomma, nonostante tanti fan di Federico oggi adorino definirlo un anticipatore di pacifismo e tolleranza, egli era un sovrano medievale al 100%, estraneo a quei concetti; anzi, come i potenti di oggi, era attento soprattutto alla conservazione e all’estensione del suo dominio, con qualsiasi mezzo e se necessario con estrema brutalità.
Come evitare una guerra
Semmai l’imperatore e il sultano preferirono evitare una guerra tra loro, visto che – in estrema sintesi – ne avevano altre in ballo e non avevano le forze per sostenerle tutte, militarmente ed economicamente. Infatti Federico II, erede del Regno di Sicilia normanno (grazie alla mamma Costanza d’Altavilla, che aveva sposato lo svevo Enrico VI), doveva difenderlo dalle incursioni delle truppe fedeli al papa, che sostenevano le città meridionali ribelli (tanto che, mentre egli era in Terra Santa, un esercito filo-papale invase il regno e lui dovette rientrare per contrattaccare). Inoltre, come imperatore, doveva fronteggiare buona parte dei Comuni dell’Italia centro-settentrionale, che si erano ribellati al predominio imperiale. A sua volta, al-Kāmil era stato impegnato prima in una importante contesa armata con suo fratello al-Muʿaẓẓam, sultano di Damasco, che mirava ad estendere i propri domini; poi in un altro duro confronto con altri musulmani, i Selgiuchidi dell’Asia minore. Come abbiamo visto, la modalità non-bellica con cui Federico condusse la sua crociata gli procurò grandi apprezzamenti ma anche ulteriori anatemi papali e accuse di tradimento. Lo stesso sultano fu aspramente criticato e accusato da un’ampia parte del mondo islamico di allora, per aver ceduto alle lusinghe dell’imperatore cristiano (tuttora quella sua presunta arrendevolezza non gli viene perdonata da alcune componenti religiose, politiche e intellettuali musulmane).
Il libro scritto da Delle Donne è ricco di dettagli su tutte queste circostanze storiche. Tuttavia ha anche il pregio – e l’intenzione, dichiarata dall’autore – di raccontare la storia della crociata pacifica guardando all’oggi e alle tante guerre che si potrebbero evitare se le doti della diplomazia prevalessero su quelle delle armi. Il conflitto tra Russia e Ucraina – e la rappresentazione ucronica di un 2022 immaginario in cui i due Paesi riescono a non scontrarsi – non sono richiamate nel volume, concluso poco prima che quel conflitto scoppiasse; tuttavia in questa presentazione è parso utile citarlo come esempio. Il medievista in compenso cita le guerre e le tensioni internazionali di questo primo ventennio del XXI secolo (dagli attentati dell’11 settembre 2001 firmati Al-Qāʿida, per esempio, alle imprese belliche e terroristiche del sedicente Stato islamico; dall’Afghanistan all’Iraq e alla Libia) per ricondurre quella crociata pacifica e controcorrente “alla memoria della nostra contemporaneità carica di tensioni e di scontri tra religioni e ‘civiltà’”. Un modo per contribuire “a comprendere il presente attraverso lo studio del passato e viceversa”.
Scrive Delle Donne nell’ultimo paragrafo: “Alcune contraddizioni – apparentemente irrimediabili – del mondo attuale già caratterizzavano, in forma sia pure diversa, il mondo di otto secoli fa; e, forse, il passato, se non può indicarci la strada da percorrere nel presente (la storia ha smesso da tempo di essere magistra vitae, se pure lo è mai stata davvero) può aiutarci a riflettere, quanto meno sul fatto che si può trovare sempre un’alternativa”. Forse le guerre oggi in corso – da quella che stiamo vivendo in diretta web e tv tra russi e ucraini alle tante altre, più o meno dimenticate, nel mondo – non sarebbero mai iniziate, o sarebbero già finite, se i potenti fossero riusciti a pensare (come fecero lo scomunicato Federico e il bistrattato al-Kāmil) che alla violenza possono esserci alternative. Non resta che confidare nelle lezioni della storia (e ovviamente nella voglia di studiarla).
Fulvio Delle Donne, Federico II e la crociata della pace, Carocci editore, Roma 2022
Fonte: www.strisciarossa.it