IL PENSIERO MEDITERRANEO

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La tirannide in Grecia nell’età arcaica

Falaride l'oratorio di Siracusa

di Giovanni Teresi

Falaride il tiranno di Akagras e il Castello Eurialo a Siracusa
 

Gli aristocratici di Grecia si opponevano duramente a qualsiasi cambiamento. Dalla lacerazione del corpo civico nacque la figura del tiranno: un singolo individuo dotato di particolare prestigio approfittava dei contrasti sociali per instaurare un potere eccezionale.

La tirannide fu un fenomeno diffuso in Grecia nell’età arcaica (VIII-VI secolo a.C.), in particolare tra il VII e il VI secolo a.C. e riguardò un grande numero di poleis: Atene, Corinto, Mileto e tante altre. Ma non meno famose furono le tirannidi sorte più tardi (soprattutto durante l’età classica, V-IV secolo a.C.) nelle colonie d’Occidente, a cominciare da Siracusa.

Le situazioni storiche delle singole città avevano aspetti specifici, ma le loro tirannidi presentavano anche caratteristiche comuni. I tiranni furono spesso fautori dell’espansione coloniale e commerciale della loro città; diedero impulso alle relazioni diplomatiche; furono committenti di opere d’arte e letterarie; promossero l’edilizia pubblica. Tipica dei tiranni era l’ostilità nei confronti degli aristocratici, dalle cui file pure essi provenivano. Il potere eccezionale del tiranno nasceva, infatti, dal malcontento popolare contro il governo aristocratico. Di tale malcontento il tiranno si serviva per crearsi un largo consenso e impadronirsi del potere con un colpo di mano.

I tiranni inoltre favorivano il popolo e i ceti emergenti, che traevano dal nuovo regime soprattutto vantaggi di carattere economico (redistribuzione di terre, apertura di traffici, opere pubbliche, ecc.). I tiranni nella tradizione greca sono stati presentati in molteplici modi. Campioni di saggezza, come Periandro di Corinto, il cui motto era: «Prenditi cura di tutto». Proverbiali esempi di sfacciata fortuna, come Policrate di Samo che, gettato in mare un prezioso anello, l’avrebbe recuperato nel ventre di un pesce servitogli a tavola. Mostri di crudeltà, come Falaride d’Agrigento, che metteva a supplizio i suoi nemici chiudendoli in un toro di bronzo arroventato, nel quale un ingegnoso sistema di amplificazione trasformava le urla di dolore dei disgraziati in macabri muggiti. La veridicità storica di molti di questi racconti è piuttosto dubbia, ma si tratta di testimonianze comunque preziose perché gettano luce sull’immagine diffusa dei tiranni.

Falaride  l’oratorio ad Agrigento

Quali che siano state le reali azioni di ciascun tiranno, queste figure rappresentarono la negazione della polis: laddove comandava un tiranno, infatti, non esisteva autogoverno dei cittadini e dunque non esisteva la polis. Il ricordo a fosche tinte che quasi tutti i tiranni hanno lasciato nella tradizione antica è in gran parte dovuto a questo aspetto. Tuttavia, se è vero che il tiranno elimina la polis, è anche vero che egli prepara, suo malgrado, la rinascita della polis su basi nuove e più aperte rafforzando il cambiamento avviato con l’introduzione della moneta e della tattica oplitica: la supremazia aristocratica è spezzata, gli squilibri di ricchezza sono meno forti, la comunità è economicamente più vivace. Queste condizioni, favorite dai tiranni, diventano alla fine la causa della caduta dei tiranni stessi. La cittadinanza, rafforzandosi, si riprende il potere: la polis rinasce e allarga la sua base sociale.

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