“Il mito, la bellezza e l’esoterismo della Sicilia nel capolavoro: Faust di Goethe
di Giovanni Teresi
Goethe, appena diciannovenne (1768), realizzò “Faust. Ein Fragment” (Faust. Un Frammento) ispirato dal viaggio in Italia nel 1790. Tra il 1797 – 1808 produsse “Faust, prima parte della tragedia” e a 76 anni, cominciò il quarto atto che concluse poco mesi prima di morire, nell’estate del 1831. Faust è un complesso lavoro alchemico dove, al di là della trama e dal finale, Goethe conduce il lettore in un mondo alchemico ricco di alambicchi, verso la Pietra Filosafale con una dimestichezza derivante anche dalla sua affiliazione nel 1780 alla Loggia Anna Amalia delle Tre Rose di cui divenne Maestro per poi essere iniziato agli Alti Gradi e all’Ordine degli Illuminati. La Massoneria era molto diffusa in Sicilia e nell’isola Goethe frequentò illustri Fratelli.
Le leggende, il mito, la bellezza e l’esoterismo dell’isola lo affascinarono ed è infatti in un luogo sperduto della Sicilia, Engyum, che dimorarono gli esseri temuti da Faust: il regno delle Madri, quell’Engyum dove l’alchimista dovrà attraversare per riportare in vita la bella Elena e Paride.
Come si legge nell’edizione di Franco Fortini, “le Madri sono creazione goethiana. Nel colloquio del 10 gennaio 1830 con Eckermann, Goethe disse di aver ricevuto la prima idea di questi misteriosi esseri solenni da un passo di Plutarco, che ,nella vita di Marcello, afferma che nell’antichissima cittadina di Engyum, in Sicilia, un tempo costruita dai Cretesi, apparivano dee chiamate Madri.
Nell’opera di Goethe che cosa rappresenta la discesa di Faust nel regno delle Madri?
Mefisto può dare a Faust solo la chiave di quel regno, ma non è in grado di entrare lui stesso nel luogo dove regnano le Madri. Mefisto è infatti lo spirito del materialismo: egli si avvicina all’uomo con le forze e i poteri dell’esistenza materiale. Il regno delle Madri per lui è il puro nulla.
Faust invece, l’uomo spirituale, è colui che tende verso lo spirito e che sa rispondergli:
«Nel tuo nulla io spero di trovare il mio tutto». Goethe procede poi a descrivere in modo singolarmente significativo il regno delle Madri e di come esse vivano e operino in un mondo in seno al quale vengono formati i corpi del mondo visibile. Chi voglia penetrare fin dove vivono queste Madri, deve lasciar dietro di sé tutto ciò che accade nello spazio e nel tempo.
«Formazione, trasformazione»: così vien definito l’operare in questo regno.
Le Madri sono Esseri divini misteriosi, regnano in un mondo spirituale che sta dietro la realtà sensibile. Solo se riuscirà a rivelare all’occhio della sua anima il regno delle Madri, Faust potrà unificare la realtà eterna di Elena con la sua apparenza temporanea.
Era chiaro per Goethe che questo regno delle Madri è quello in cui deve entrare l’essere umano quando riesce a risvegliare le forze spirituali sopite nella sua anima. L’ingresso in questo regno avviene nel grande momento in cui gli si manifestano Esseri e realtà spirituali. Esseri e realtà che ci circondano sempre, ma che gli occhi fisici non possono cogliere, come il cieco non può vedere i colori o la luce. L’ingresso in quel regno è il momento in cui il suo occhio e il suo orecchio spirituali si aprono e percepiscono un mondo che sta dietro quello fisico. Tale ingresso è raffigurato nella discesa verso il regno delle Madri.
Goethe in uno dei più oscuri passaggi del Faust ha trattato il problema del terrore per le Madri misteriose in uno spirito molto simile a quello dell’Edipo a Colono.
Mefistofele dice infatti : Esito a disvelar l’alto mistero. Regnano Dee in solitario impero, Spazio né tempo intorno a esse appare. Solo parlarne provi turbamento. Sono le “Madri”!
FAUST (sussultando spaventato): Madri!
MEFISTOFELE: N’hai spavento!
FAUST: Madri! Le Madri! Singolare accento!
MEFISTOFELE: Singolare davvero. Dee sconosciute all’uomo, da noi sono volentier taciute. Cerca giù negli abissi dove stanno; è colpa tua se ci abbisogneranno.
Anche qui come nella tragedia di Sofocle, il sentimento di paura e di terrore è legato al semplice atto di nominare le dee, che appartengono a un mondo antico ora bandito dalla luce del giorno, dalla consapevolezza. La scena delle Madri, che ha luogo nella “Galleria oscura”, con il dialogo che si svolge fra Mefistofele e Faust, è uno dei passi più discussi e sul quale si sono maggiormente accaniti gli studiosi di Goethe, cercando di attingere dagli antichi filosofi spiegazioni che in genere sembrano rendere assai più ardua e fumosa l’interpretazione.
Questo brano del Faust è sembrato enigmatico alla maggior parte dei commentatori, che hanno cercato di spiegare le Madri come un simbolo delle idee platoniche, l’informe regno del mondo interiore dello spirito, eccetera. Goethe aveva scoperto che “nell’antica Grecia le Madri erano dette Dee”, leggendo la Vita di Marcello di Plutarco. Goethe sarebbe stata, dunque, uno dei primi autori o forse il primo grande poeta moderno a riscoprire il potere culturale (culturale-religioso) e sociale delle Grandi Dee dell’ antichità, che poneva forse l’immagine femminile in una dimensione
superiore a quella maschile. Anche Jung si è soffermato su Goethe e sulla famosa scena della discesa al Regno delle Madri nel libro Simboli della trasformazione, (1912-1952. Qui Mefistofele, pressato da Faust, si decide a svelargli il modo di scendere alle Madri (cioè di giungere a quel luogo in cui Faust spera di trovare il “Tutto”): “MEFISTOFELE: A te! Prendi questa chiave! FAUST: Codesta cosettina? MEFISTOFELE: prendila prima, e non la sprezzare! FAUST: Mi cresce in mano, riluce, lampeggia! MEFISTOFELE: Ti accorgerai tra poco cosa vuoI dire possederla! La chiave riconoscerà al fiuto il giusto luogo. Seguila nella discesa! Ti guiderà alle Madri!“
Il brano della “chiave” che secondo Mefistofele guiderà Faust fino alle Madri, ci ricorda una precedente scena epica in cui è rappresentata un’altra discesa agli Inferi, sempre alle Madri.
Si tratta dell’ Eneide di Virgilio in cui la Sibilla (qui, in un mondo ancora pagano, troviamo una figura-guida femminile al posto di quella maschile di Mefistofele) svela a Enea che solo se troverà e coglierà il “ramo d’oro” sull’albero consacrato a Giunone, gli sarà concesso di raggiungere Proserpina o Persefone, ed il Regno delle Ombre’ ‘nelle segrete vie della Terra”, con la guida della Sibilla. Anche Virgilio aveva dovuto creare attorno alla “Discesa agli Inferi” un’atmosfera di sospensione magica, la sensazione di penetrare in un universo alternativo, in una lontananza eternamente vuota ma anche nel tempio dell’antica sapienza: nell’immensa notte silenziosa, dove si cammina senza sapere dove si posano i propri passi. Soprattutto, in quell’ Aldilà nel quale ancora regnavano le Divinità femminili, le uniche in cui il mondo pagano cercava protezione per l’eternità, nella vita oltre la morte. Ma la rappresentazione dell’Oltretomba come un luogo nel quale si è benevolmente accolti da una Dea protettrice non è solo, come si sa, una invenzione dei paesi mediterranei in cui, alla Grande Dea Hathor o alla Dea Iside che presiedevano al Regno dei Morti secondo gli egizi, corrispondevano la Dea Tanit dei fenici e dei cartaginesi, la Persefone dei greci e la Proserpina dei romani. Nella antica mitologia nordica ritroviamo ugualmente le figure femminili. Nelle saghe degli islandesi e dei germani la Terra dei morti era governata infatti dalla Dea Hel, e con il suo nome si indicava lo stesso Regno dei morti, Helheimr.
Predicando una sorta di ritorno alle origini, e quindi ad uno stato di Natura, coincidente pienamente con un potere delle divinità femminili e delle Dee Madri, che Goethe gioca sulla “meraviglia”, (“Fuggi verso i liberi domini delle immagini!“, lo incita Mefistofele), e anticipa lo stupore che avrebbe colto i lettori e magari i suoi dotti commentatori, non preparati psicologicamente ad accettare un discorso sui poteri delle antiche Madri, di cui egli era venuto a conoscenza attraverso Plutarco. Ci sembrano infatti significative le battute che pone in bocca a Faust e a Mefistofele, subito dopo che quest’ultimo ha consegnato al suo protetto la chiave, dicendogli: “Seguila nella sua discesa: ti guiderà alle Madri“.
Faust risponde infatti (rabbrividendo): “Alle Madri! È sempre come se mi sentissi colpito! Ma che cos’è mai codesta parola, che non posso sentirla?” E Mefistofele di rincalzo: “Sei così angusto, che una parola nuova ti turba? Vuoi udire soltanto quel che hai già udito?“
Tanti sono gli elementi nella complessa e mirabile opera alchemica di Faust, spesso incompresa nelle numerose rappresentazioni teatrali. É il viaggio nella conoscenza dell’uomo in balia della vita di cui lo stesso Mifistofele è “una parte della forza che vuole sempre il male e opera sempre il bene” restando infine ammaliato dalla bellezza divina. “Un acuto dolore trafisse anche il vecchio maestro Satana … Esultate! Abbiamo vinto”. E tra Salamandre, Leoni,Sole, Luna, Ondine, la bell’isola di Thule, Pentagramma, Angeli, e Fuoco, sarà proprio la Regina, ossia la Vergine, che darà la salvezza a Faust: è ella stessa la Pietra filosofale bramata dagli alchimisti.
(1)Engyon (Ἔγγυον in greco antico) è un’antica città della Sicilia. Secondo la leggenda una colonia cretese, famosa per il suo tempio alle dee madri depredato da Verre. Il sito è sconosciuto, potrebbe essere identificabile con Gangi o Troina. In latino è detta Engyum, in italiano Engio.
Diodoro Siculo ha tramandato la notizia secondo la quale furono i Cretesi sopravvissuti alla morte di Minosse a fondare Engio, a cui avrebbero dato il nome di una sorgente. La tesi prevalente vuole che le origini di Gangi vadano ricercate nella “mitica” città di Engyon che, secondo la storiografia antica, sarebbe stata fondata dai Cretesi.
Un’antica città sede di un tempio dedicato alle dee Madri (un culto di origine cretese secondo gli storici dell’antichità) e sede del santuario (fanum) di Cibele.
Engyon (Engyum, secondo i Romani) per gli archeologi è localizzabile nei pressi di Gangivecchio o di Alburchia [S.Naselli, F. Spatafora, G.Storey, C. Vogler]
E’menzionata da Cicerone nelle sue ‘Verrine”a proposito delle ruberie di Verre (il
governatore romano che ne depredò il tempio dedicato alla Magna Mater Idea, cioè a Cibele) e parecchi secoli dopo capace di colpire e suggestionare con il suo culto, dedicato alle dee madri, il grande poeta tedesco Goethe. Diverse sono le testimonianze storiche della presenza dei Sicani e/o dei Siculi, dei Greci, dei Romani, dei Bizantini, degli Arabi oggi tangibili nel territorio dell’odierna Gangi. Svariate sono le leggende che significativamente sono
legate ai siti, abitati in antico, esistenti nel territorio dell’odierna Gangi e che trovano probabilmente la loro genesi in un lontano passato tramandatoci nel corso dei secoli dalla memoria popolare.
Il paese, sito originariamente in una contrada significativamente denominata Gangivecchio, fu sottoposto alla dominazione di Greci (Glenn Storey ipotizza sin dal VII sec. A.C.), dei Romani, dei Bizantini ed anche di altri dominatori stranieri (Arabi, Normanni e Svevi). Fu poi parte integrante del sistema di potere feudale siciliano e inglobato nelle lotte politiche internazionali del Mediterraneo medievale (Angioini, Aragonesi, Papato).
Giovanni Teresi