Putin: uno zar con esperienza comunista
di Eliano Bellanova
Mentre il mondo occidentale si dibatteva fra contrasti, debolezze, “esaltazione della pandemia”, Wladimir Putin preparava con alacrità e determinazione un nuovo quadro europeo.
La Russia di sempre, con il volto imperscrutabile e un non so che di satrapismo orientale, impersonata da Putin, ha compreso la debolezza dell’Occidente e, forse servendosi di un virus cinese “concordato” con l’alleato giallo, ha capito che fosse il momento di massima debolezza dell’Occidente, per cui ha sferrato l’attacco all’Ucraina, partendo dalle Repubbliche del Donbass, dopo avere precedentemente occupato la Crimea.
“Stringere la mano ai Russi quanto più a oriente possibile”, era il postulato ossessivo del grande statista britannico Winston Churchill, stimato e temuto anche dal dittatore sovietico Stalin.
Oggi la questione si pone di nuovo.
Forse, però, quando una persona è al potere per molti anni ha l’aspirazione di lasciare qualcosa di sé. Infatti vi sono stati grandi personaggi che, dopo avere operato bene o in modo poco criticabile, hanno successivamente dato sfogo ai loro istinti peggiori. Avviene così anche nella vita umana: vi sono tanti bravi genitori che, dopo una vita moralmente apprezzabile, si compromettono in affari poco puliti per “accreditare” ai figli o agli eredi una dote cospicua. Lo fanno non guardando in faccia nessuno, senza scrupoli e senza dignità.
“Si parva licet componere magnis” (se è lecito paragonare le piccole alle grandi cose), ciò avviene anche nei rapporti internazionali. I Romani non erano sprovveduti se eleggevano i Consoli per soli sei mesi: era un metodo anti-corruzione e anche di grande tattica politica, in quanto consentiva a più uomini capaci di partecipare del potere e dell’amministrazione.
Allo stato dei fatti, il dittatore (sic!) russo Putin potrebbe fermarsi stabilizzando un Quisling fantoccio in Ucraina e liquidando Zelevnskj. Non è però da escludere che l’attacco all’Ucraina possa costituire una nuova Danzica, oppure costituire il primo passo verso il recupero di quei Paesi che si sono sganciati dall’orbita russa in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica.
Paradossalmente il sogno di Churchill di tenere la Russia quanto più a Oriente possibile si era avverato allorquando gli ex-Stati del Patto di Varsavia avevano aderito alla NATO, suscitando le apprensioni della “Cancelleria” russa.
Prima di Putin la Russia era stata attraversata da problemi difficili e complicati, come le fonti di energia, lo sfruttamento delle tecnologie, la ricostruzione edilizia, l’adeguamento di grandi città come Mosca e San Pietroburgo alle nuove istanze tecnologiche (per le quali Putin ha fatto ricorso a imprese occidentali, non saldando neppure completamente i conti), eccetera.
Con l’avvento di Putin la Russia ha compiuto passi notevoli verso l’emancipazione, con la nascita di un grande capitalismo (spesso controllato dallo Stato, come in Cina, a testimonianza della irrinunciabilità al comunismo). Al capitalismo si sono associate ben presto le caratteristiche delle nazioni libere, ovvero corruzione e criminalità organizzata.
Tuttavia, malgrado l’emancipazione capitalistica, la Russia continua a essere un Paese povero. Il ceto medio è a livelli di povertà, i professionisti vivono alti e bassi, la classe operaia e impiegatizia è povera, mentre i grandi politici e l’alta burocrazia si sono arricchiti in maniera esponenziale, dando luogo a un divario che richiama alla memoria la Russia dei servi della gleba che sopravvisse fino al 1917, allorché la Rivoluzione fornì l’illusione di uno sviluppo concreto con il comunismo e la NEP (Nuova Politica Economica).
Sebbene, però, la Russia sovietica fosse uno Stato totalitario e autocrate, basato su un regime poliziesco terrificante e su una burocrazia opprimente (specialmente con Stalin e Berija), in politica internazionale perseguì la via della moderazione, al contrario della Germania nazista, che riscoprì tematiche inquietanti, quali lo “über alles”, il “Nach Osten” e il “Liebersraum”, che si compendiavano nel pangermanesimo.
Wladimir Putin, al contrario del georgiano Stalin, non ha quel tatto contadinesco dalla “scarpa grossa e cervello fino”, per cui, scatenando la guerra contro l’Ucraina, adducendo pretesti inattendibili o cause inventate o superabili, ha contro di sé tutto il mondo libero. Ed è incredibile e assurdo presumere che le contromisure economiche assunte dal mondo occidentale e dagli altri continenti non depongano contro la Russia, ancorché possano arrecare danni per un meccanismo di feed-back negativo anche a chi le ha promosse.
Putin aveva supposto di poter fare affidamento su gran parte del mondo. Invece si è scontrato con una realtà diversa, forse perché non ha sufficiente conoscenza del cosiddetto “mondo libero”. Inoltre fra gli “alleati”, neppure la Cina (che è già entrata nell’occhio del ciclone per la questione diritti umani e coronavirus, nonché per le deprimenti condizioni di lavoro che conducono i “sudditi” a lavorare 14 ore al giorno, non di rado morendo sul lavoro e durante i tragitti) vorrebbe essere coinvolta da Putin in un’iniziativa comune.
Il Presidente statunitense Joe Biden, tanto criticato alla vigilia anche per avere asserito che la Russia avrebbe attaccato in breve tempo l’Ucraina, ha dimostrato, nel suo intervento rivolto al mondo, tempra di grande statista.
In Europa, eccettuati Johnson, Scholz e Macron, gli altri Governi hanno taciuto o hanno ripetuto frasi standardizzate da scolaretti impauriti da un maestro severo. L’Italia rientra in questa tipologia…
Eliano Bellanova