Un minuto prima della pioggia. Carlo Casciaro
di Paolo Vincenti
Ortelle è un giorno di sole e il caldo che ti segue fra le stradine del centro. Ortelle è la Madonna della Grotta e la Fiera di San Vito. Ortelle è il culto di San Vito e Santa Marina, testimonianza di quella devozione popolare che impasta la cultura di questi piccoli borghi della nostra penisola salentina.
Ortelle sono i volti allegri spensierati, tristi malinconici, stirati, rugosi, ritratti da Carlo Casciaro. Ad Ortelle vive Carlo Casciaro, che vado a trovare in una mattina in cui schiocca scirocco fra le pieghe delle case calcinate, di un bianco rilucente e abbagliante; nella mia fantasia, il paese si identifica totalmente con il suo cantore, aedo del pennello, celebratore di luoghi e persone, pietre e stagioni, percorsi della memoria.
Dalla fotografia alla pittura, Carlo Casciaro comunica attraverso la sua arte e mi sembra perfettamente integrato con il microcosmo di una piccola e fresca cantina nella quale ha ricavato il suo studio e dalla quale osserva il mondo esterno, senza spostarsi da casa, indagatore dell’anima, collezionista di memorie, archivista di emozioni. Carlo, cioè, è un viaggiatore fermo, un nomade stanziale, se mi è concesso l’ossimoro. Da Milano, dove ha vissuto e lavorato diversi anni, è ritornato al paesello, la sua amata Ortelle, e qui ha ripiantato radici, la sua è diventata una scelta di fede, perché è facile essere attaccati al paese dove si è nati, ciò è naturale e scontato, ma quando invece lo si risceglie in piena consapevolezza, dopo essere stati via per anni, e lo si rielegge a propria residenza, questo ha un valore raddoppiato.
Così Carlo ha deciso di ritornare qui, nell’antica Terra Hydrunti, a fotografare vecchi e vecchine, parenti, amici, volti sdentati e sorridenti, personaggi schietti di quella galleria di tipi umani che offre l’ecclesia ortellese, a immortalarli nei suoi ritratti a matita e pastello e ad appenderli con le mollette a dei fili stesi nella sua cantina a suggellare arte e vita, sogno e contingenza. “Anime appese” le chiama Carlo Casciaro, “catturate con armi di matita e passione”, a vantaggio di coloro che possono ammirarli nelle personali che di tanto in tanto egli tiene, come l’ultima sua mostra svoltasi nell’agosto del 2012 e dalla quale ha tratto un piccolo catalogo che porto con me, prezioso omaggio amicale.
E in questa brochure leggo le osservazioni critiche sulla sua arte ad opera di Paolo Rausa, Nino Pensabene e Raffaella Verdesca, nomi a me noti ed al mio uniti dalla comune militanza nelle file del cenacolo culturale “Fondazione Terra D’Otranto”. E trovo anche fotografata su una polverosa carrareccia a ‘Vignavecchia’ in agro di Vitigliano, frazione di S.Cesarea Terme, l’anziana madre di Carlo, “Mamma Eleonora” con le sue 90 margherite di giugno.
E trovo suo padre, u Totu camillu “sigaretta nturtiiata”, matita su cartoncino: questo soprannome, che allude all’antica abitudine dei nostri contadini di arrotolare le sigarette artigianalmente o anche di masticare il tabacco, mi riporta allo stesso Carlo che, come tanti di questa nostra generazione, ha ripreso ad arrotolare cartine (come dire, dove non arriva la nostalgia, ci pensa la crisi). L’oggetto privilegiato dalla pittura di Casciaro, pronipote di Tata Peppe, ossia Giuseppe Casciaro (Ortelle 1861-Napoli 1941), pittore di scuola napoletana, è il paesaggio salentino. Il suo è un naturalismo che richiama quello dei più grandi maestri salentini, fra tutti Vincenzo Ciardo. Un paesaggismo delicato, abbastanza fuori dal convenzionale, dal naif. Scrive Raffaella Verdesca: “Casciaro ama la sua terra e ce ne regala i colori migliori attraverso immagini che nel passato scovano l’armonia del vissuto, del semplice, di quel palpitare non più ovvio se immortalato nei volti che quelle stesse strade e piazze hanno abitato.
Ed ecco affacciarsi i ritratti di personaggi che hanno il sapore della storia, forse della favola. In caso di dubbio sulla giusta direzione, è a loro che Carlo ci suggerisce di chiedere”[1]. Nelle sue tele, dai vivaci colori, in cui vengono quasi sezionati i reticolati urbani dei nostri paesini, più spesso le aree della socialità come le piazze, gli slarghi, le corti, si ammirano animali come pecore, buoi, galline, gazze, convivere in perfetta armonia con oggetti e persone, in un’epoca ormai lontana, fatta di ristrettezze e di fatica, quella della civiltà contadina di qualche decennio fa.
E poi un cielo attraversato da nuvolette dispettose; il sole non appare mai in tutto il suo splendore ma sempre filtrato dalle nubi passeggere di un cielo velato madreperlaceo, occhieggiante fra le fenditure e i recessi del paesaggio incantato, così salentino ortellese. Sembra quasi un minuto prima della pioggia, quell’aria di sospensione, in cui gli animali restano assorti immobili nella percezione dell’addiveniente. Oppure, la quiete dopo la tempesta, con quelle strade slavate e quelle pozzanghere ancora imbevute e già il contadino che si mette in cammino per la campagna e l’artigiano che ritorna all’opera usata. Il segno colore di Casciaro dà ai suoi paesaggi un’immagine di gioia temperata, di una serenità appena percepita, voglio dire non un idillio a tutto tondo, tanto che il cielo incombente sulle scene di vita quotidiana sembra minaccioso e il sole, come già detto, non si mostra mai. Intanto, i volti ci guardano dall’acrilico delle sue tele, ci scrutano, mentre chiacchieriamo amabilmente di un tempo perso, che è il tempo dell’arte, quello che fuga le mene e le paturnie della quotidianità. I volti di Carlo, a dire il vero, sembra che scrutino più me, che forse ho un aspetto troppo urbano per stare a mio agio in questo posto così semplice e austero, ma è solo un pregiudizio, dacché io mi trovo bene in ogni luogo in cui si respira arte e cultura.
Così mi metto anch’io ad arrotolare sigarette con Carlo e a ricambiare quegli sguardi scrutatori dei suoi volti di carta, mentre con l’autoscatto della sua macchinetta fotografica immortaliamo il nostro incontro. Saluto Carlo che si rammarica perché mi dice che nel paesello non c’è nemmeno un bar dove possa portarmi ad offrirmi un caffè. Io lo ringrazio comunque perché di caffè, a quell’ora della mattina, ne ho bevuti sicuramente più di lui, e lo saluto affettuosamente. Accomiatandomi, mi accorgo che i suoi volti disegnati non mi guardano più di sottecchi ma hanno forse iniziato a prendere famigliarità con questo cronista che è venuto a rompere la loro calma assidua assorta. Ma è troppo tardi, perché nel frattempo io sono già via, sulla mia scatarrante jeep, “sulle strade di Carlo Casciaro”.
PAOLO VINCENTI
[1] Raffaella Verdesca, Le strade di Carlo Casciaro, nel Catalogo di Carlo Casciaro, Mostra espositiva pittura grafica, Ortelle Le. 17.18-19 agosto 2012.