3/5 – Timofobia
di Maurizio Mazzotta
Ci sono persone che hanno difficoltà a comunicare a chiunque le proprie emozioni, sono un po’ riservate o inibite di fronte agli estranei, ma sono invece capaci di esprimerle a chi amano anche con entusiasmo; e ci sono però persone che hanno proprio difficoltà a esprimerle sempre e a chiunque, persino a se stessi. E dunque non sono in grado di identificare e descrivere lo stato emozionale che provano. E ancora ci sono persone che hanno paura delle emozioni, soprattutto delle proprie.
La paura delle emozioni (timofobia) affiora qua e là, tra gente diversa, acculturati e non, giovani e adulti, maschi e femmine, cani e gatti: Liebe, femmina di pastore tedesco, quando le faccio le coccole, si emoziona ed emette suoni e si allontana perché non regge l’emozione e ha paura di mordermi per il troppo amore (lo capisco dai movimenti delle mascelle). Alcuni poi si notano per una rigidità nel fisico e nel movimento, per una mimica limitata, per un sorriso stereotipato.
Molti di noi, di fronte a una disgrazia che colpisce qualcuno di famiglia o a un avviso di licenziamento dal lavoro, reagiscono emotivamente in vari modi e misure, e sanno bene ciò che stanno provando.
C’è però chi reagisce come nella breve storia riportata sotto, dove si descrive una reazione possibile a un evento che normalmente è vissuto quasi come catastrofico.
Il capo ha un’espressione dura mentre gli parla. Sta sottolineando quanto sia scarsa la sua produzione, molto al di sotto della media degli altri. Dice senza mezzi termini che è costretto a licenziarlo, ma Giacomo guarda la matita con la quale l’ingegnere sta giocherellando, poi si interessa alla cravatta, la trova buffa, coi toni del verde moccio e quelle sottili righe gialle… Forse dovrebbe stare più attento, dispiacersi, perché sa che cosa significa “licenziamento”. Licenziamento significa non lavorare, quindi non essere in grado di pagare l’affitto, ma come se non gli interessasse. Come se accadesse a un’altra persona. Come se non ci fosse alcun collegamento tra le sue orecchie e il resto della testa. E se un collega dopo gli chiede: Come stai? Non saprebbe cosa dire.
Alcune persone sono come Giacomo. Di loro – come accennato all’inizio di questo scritto – si può dire che sono incapaci di emozionarsi oppure di identificare e di esprimere con le parole le loro emozioni.
Un termine “alessitimia” (a, mancanza; lexis, parola; thymos, emozione, quindi: incapacità di esprimere con le parole le proprie emozioni) indica questo disturbo studiato da alcuni decenni. Gli studi sulla personalità di tali soggetti sono arrivati a queste conclusioni: gli alessitimici sono capaci di osservare analiticamente la realtà e di riprodurla, descrivendola minuziosamente. Inibiscono la fantasia, sono persone troppo concrete, con un’affettività molto limitata. Percepiscono il proprio corpo come estraneo, anche se poi proprio sul corpo scaricano le loro inibizioni; per questo spesso soffrono di disturbi psicosomatici. Gli alessitimici possono peraltro apparire normali, il loro problema è “soltanto” l’incapacità di emozionarsi, o perlomeno poco sopra lo zero, e la conseguente difficoltà di esprimere ciò che provano.
Per alcuni studiosi questo è uno dei mali della nostra epoca. E sarà peggio nei prossimi decenni. Eppure siamo nell’epoca della comunicazione! Ma forse proprio i massmedia potrebbero essere i responsabili se consideriamo l’abitudine che stiamo acquisendo di inibire le emozioni alla vista di reali o fittizie immagini della televisione. Operazione che attuiamo per difenderci, ma che ci può portare all’incapacità di emozionarci e al suo correlato, l’incapacità di dire ciò che stiamo provando.