Le “Odi barbare”, le “Rime nuove” e le “Rime e ritmi” di Giosuè Carducci – La poetica a confronto
di Giovanni Teresi
Le “Odi barbare” di Giosuè Carducci è una raccolta di cinquanta liriche scritte tra il 1873 e il 1889 di cui sono state fatte tre edizioni, con la quale viene richiamata la metrica classica con lo scopo di trasferirla nella lingua italiana, ottenendo però un iniziale riscontro negativo da parte della critica definendo tali odi “barbare” agli orecchi e al giudizio dei Greci e dei Romani. Nonostante la metrica, apprezzata largamente in seguito, ritenuta originale ed innovativa, i temi che ricorrono sono quelli della nostalgia dell’eroico tra componimenti civili, con i quali viene esaltata la Roma antica, e i componenti personali.
Il sentimento della vita, con i suoi valori di amore, bellezza ed eroismo sono la principale fonte di ispirazione del poeta ma accanto a questo tema, non meno importante, è quello del paesaggio e della contemplazione del mondo naturale (lo splendore del sole, le aperte distese della pianura, la malinconia delle notte lunari e il sereno silenzio delle Alpi). Carducci rifiuta in assoluto la poesia moderna che da Leopardi in poi non si riteneva più obbligata a seguire le regole della metrica.
Il poeta non è un servo dei potenti ma un grande artiere, un fabbro, che lavora sulla sua incudine: la libertà, la bellezza e i sentimenti familiari. Le memorie patrie ed il pensiero, sono fondamentali per il poeta. Carducci si ispira parzialmente al concetto di “parnassianesimo” che è contro il “sentimentalismo” della poesia romantica e che vive di un’arte chiara e perfetta nella forma. Carducci è vicino in questo senso al realismo di Verga ma a differenza di quest’ultimo, il poeta decanta i grandi eroi e i fatti storici, mettendo in questi, il suo carattere attivo.
Un altro tema molto spesso usato da Carducci è quello della memoria, che non fa disprezzare al poeta, la nostalgia delle speranze deluse e il sentimento di tutto quello che non c’è più. L’amore per la patria al di sopra di tutto, questa è decisamente la filosofia a cui si ispira nelle sue opere poetiche di Giosuè Carducci. A questo si aggiungono l’amore per la natura, per il bello e un’incondizionata visione della vita nelle sue espressioni più pure e genuine.
Nelle sue opere, lo scrittore, conforta gli uomini, oppressi dalla contraddizione, fra gli ideali e l’amara realtà. Carducci (premio Nobel per la Letteratura nel 1906) che è stato definito, “il poeta della storia”, raggiunge momenti di alta commozione epica nella celebrazione della storia di Roma e nella rievocazione dell’Età Comunale, così come trova accenti di fervida passione politica e civile nell’esaltazione della Rivoluzione Francese e nella celebrazione del nostro Risorgimento.
Alle generali tendenze romantiche della cultura e della poesia ottocentesca, egli oppone il proprio ideale di un’arte fondata su valori civili e morali ed ispirata al culto della tradizione classica, rivissuta con animo schietto, anche se in modi piuttosto chiusi ed angusti. Per Carducci, il classicismo era quindi un sinonimo di: armonia, chiarezza, culto della bellezza e della forma. L’equilibrio del suo spirito e la misura classica della sua arte, non impedirono che la personalità del Carducci si aprisse ai motivi più profondi ed inquieti del Romanticismo. Così nelle sue poesie compaiono anche motivi romantici quali: l’amore della libertà, della giustizia, della patria, il realismo, l’amore verso il mondo classico e la storia medioevale, in cui vede una vita ideale usando la poesia come mezzo per educare.
Le poesie più o meno legate alla spiritualità romantica, sono alcune tra le composizioni più appassionate delle Rime Nuove (liriche autobiografiche, nostalgiche rievocazioni del passato, poesie improntate ad un tono di malinconico raccoglimento interiore). La raccolta comprende alcune tra le sue grandi odi storiche, come “Piemonte” o “La chiesa di polenta” ma anche stili vicini alla lirica decadente contemporanea. Carducci manifesta anche la concezione della nemesi storica, secondo cui le colpe dei tiranni sono scontate dai discendenti posteri. In questo senso segue un po’ la filosofia manzoniana. Non manca però anche un evidente legame con la cultura del positivismo: fiducia nella ragione, nella scienza e nel progresso, negazione di ogni prospettiva metafisica ed escatologica.
Anche dal punto di vista tematico i testi di Rime e ritmi sono assai variegati: alla ripresa della linea più malinconica ed intimista della poesia carducciana, venata ora di un sentimento d’amore o d’affetto elegiaco e sommesso, seguono i classici paesaggi naturali colti con tocco impressionistico dal poeta (come già visto in San Martino) oppure altre prove, in cui Carducci indugia nella celebrazione assai retorica del passato risorgimentale o dei fatti gloriosi radicati nella nostra storia patria. Ad Annie (componimento “barbaro) e dedicata all’amica e poetessa Annie Vivanti, recupera nei versi conclusivi l’idea dell’unione tra vitalità dell’ispirazione poetica e bellezza femminile:
Scende da’ miei pensieri l’eterna dea poesiasu ‘l cuore, e grida – O vecchio cuore, batti. –E docile il cuore ne’ tuoi grandi occhi di fatas’affisa, e chiama – Dolce fanciulla, canta.
Altrove (come nel ciclo degli “idilli” dedicati a degli scenari alpini), Carducci riprende modalità descrittive già sperimentate, concedendosi quadri di paesaggio in cui prevalgono colori, frammenti, fugaci impressioni di sintonia armonica tra chi scrive e la Natura in tutta la sua bellezza e vigore. Così, ad esempio, in Mezzogiorno alpino, uno dei testi più noti di Rime e ritmi:
Nel grande cerchio de l’alpi, su ’l granito squallido e scialbo, su’ ghiacciai candenti, regna sereno intenso ed infinito nel suo grande silenzio il mezzodí. Pini ed abeti senza aura di ventisi drizzano nel sol che gli penetra, sola garrisce in picciol suon di cetral’acqua che tenue tra i sassi fluí.
Temi e toni nostalgici, come in un generale appressamento alla morte, si trovano invece sparsi nella raccolta; ed anche qui, al ruolo simbolico del paesaggio si affianca sempre la concezione carducciana della poesia, intesa come ancora di salvezza (sia estetica che morale) alla crisi e al senso della fine che pervade il poeta. Si leggano, in tal senso, le ultime due strofe di Presso una Certosa:
Improvviso rompe il sole sopra l’umido mattino, navigando tra le bianche nubi l’aere azzurrino: si rallegra il bosco austero già de ’l verno prèsago. A me, prima che l’inverno stringa pur l’anima mia il tuo riso, o sacra luce, o divina poesia! Il tuo canto, o padre Omero, pria che l’ombra avvolgami!