Il ricatto di Facebook : “lasciateci tenere nei nostri server in USA i vostri dati, oppure chiuderemo Facebook in Europa”
Di Pompeo Maritati
L’Unione Europea è ai ferri corti con Mark Zucherberg, il fondatore del più popoloso social network: Facebook . La materia del contendere è la mancata applicazione delle disposizioni sulla Privacy, ovvero la detenzione e utilizzo dei dati personali degli utenti.
C’è da dire che la disciplina sulla privacy europea è alquanto stringente rispetto a tutto il resto del mondo, cosa che contrasta con gli interessi del grande colosso. Zuckerberg ha così preferito lo scontro diretto che è senza precedenti, dichiarando pubblicamente di essere disposto, in assenza di un accordo a suo favore, di chiudere la piattaforma Facebook in Europa.
Un consapevole ricatto certo di avere dalla sua parte centinaia di milioni di iscritti che, probabilmente, pur di non fare a meno dell’oramai chat universale, se ne importerebbero poco di cosa queste grandi aziende darebbero con i loro dati personali. Una iniziativa stupida e irriverente da parte del giovanottino super intelligente, che in poco più di un decennio ha stravolto il modo di comunicare a livello universale.
Certo è che i suoi strateghi non devono averlo consigliato al meglio, perché l’Europa non potrà mai fare un passo indietro in materia di privacy, frutto di una lunga e faticosa condivisone tra i ventisette partner europei. Come d’altronde non potrebbe cedere ad un ricatto bello e buono, creando così un pericoloso precedente.
L’arroganza di chi si sente oramai un padre eterno è chiara come il sole. Ma questa volta ritengo che ha fatto male i suoi conti. Uno scontro frontale sarebbe senza precedenti, motivo per cui la richiesta dell’arrogantello americano verrebbe immediatamente respinta al mittente. Non solo, questo consentirebbe ad altri social minori di entrare in un vasto territorio, che peraltro potrebbero pure, nella circostanza, essere favoriti proprio da norme comunitarie.
Che Facebook sia in crisi è arcinoto. Le sue azioni hanno perduto il 25% del loro valore e gli iscritti sono in costante declino. Qui s’innesta un altro problema, quello dell’assuefazione al sistema in atto. Un processo che pare irreversibile, che è allo studio degli addetti al settore. Il problema di fondo sta nell’unico elemento incontrovertibile che da alcuni decenni è presente in tutti i miei scritti economici.
E’ stato concesso ad alcune aziende, attraverso una politica sempre meno etica e meno propensa di mettere al centro gli interessi degli uomini e delle donne, di diventare sempre più grandi, al punto di essere loro a condizionare la politica e di conseguenza l’organizzazione sociale.
Quello che in piccolo avviene, quale sport preferito delle nostre grandi azienda nazionali, che minacciano di chiudere o di delocalizzare se non vengono loro riconosciuti sostegni a volte non giustificati. Basta prendere ad esempio la nostra ex FIAT ora FCA che per numerosi decenni ha beneficiato di erogazioni a fondo perduto di grandi ricchezze nazionali, che come disse un politico, la Fiat ce la saremmo comprati quattro volte. Oggi FIAT (FCA) è in Olanda per la parte civilistica commerciale e a Londra, per la parte fiscale. Il tutto per la grande gioia degli italiani.
Attendiamo gli sviluppi di questa contrapposizione che se gestita male potrebbe compromettere seriamente la credibilità di questa Europa che ancora fa tanta fatica per apparire unita.