7 Ottobre 2023: L’Abisso della Violenza. Il Giorno in cui l’Umanità è Morta
di Pompeo Maritati
Il 7 ottobre 2023 è una data che resterà impressa come una delle più oscure pagine della storia israelo-palestinese. Quel giorno ha segnato l’inizio di una nuova fase del conflitto, caratterizzata da una violenza efferata che ha spezzato migliaia di vite innocenti e che continua, a distanza di tempo, a causare morte e distruzione. Questo conflitto, che si trascina da decenni, è diventato una spirale di odio inarrestabile, con attori che sembrano sempre più distanti da qualsiasi prospettiva di pace o riconciliazione.
Il 7 ottobre 2023 è iniziato con attacchi brutali e pianificati da parte di gruppi estremisti, colpendo duramente la popolazione civile israeliana. Si è trattato di un atto che non può essere giustificato: l’uccisione di civili innocenti è sempre un crimine, indipendentemente dal contesto politico o storico. Le immagini di quelle prime ore, trasmesse sui media di tutto il mondo, hanno mostrato il terrore che si è abbattuto su Israele, con vite spezzate, famiglie devastate e una nazione in lutto. È stato un colpo durissimo per uno Stato democratico come Israele, che si è trovato a dover rispondere a una ferita così profonda nel proprio tessuto sociale.
Tuttavia, la risposta israeliana, avvenuta nei giorni successivi, ha generato una carneficina di proporzioni allarmanti. Quella che avrebbe potuto essere una risposta mirata contro i responsabili degli attacchi si è trasformata in una serie di bombardamenti e azioni militari su vasta scala che hanno colpito indiscriminatamente non solo i combattenti, ma anche i civili palestinesi. L’immagine di Israele come uno Stato democratico, fondato su principi di diritto e giustizia, è stata gravemente messa in discussione dalla brutalità della sua reazione, che ha superato di gran lunga il confine della legittima difesa. Quando uno Stato risponde a un attacco con una violenza sproporzionata, colpendo donne, bambini e persone inermi, si pone sullo stesso piano di chi ha commesso il primo crimine.
Oggi, commemoriamo non solo le vittime del 7 ottobre, ma anche tutti coloro che sono stati uccisi nelle settimane e nei mesi successivi, vittime della rabbia e della vendetta israeliana. Piangiamo gli innocenti: persone che non avevano alcuna colpa se non quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, in una terra martoriata da decenni di conflitto. Donne, bambini, anziani e famiglie intere sono stati cancellati da bombardamenti indiscriminati, in un contesto di guerra che sembra non conoscere fine.
Nel corso di questo conflitto, la comunità internazionale ha assistito con orrore alle immagini di scuole e ospedali bombardati, di civili palestinesi in fuga disperata dalle loro case, di vite distrutte in pochi attimi. La popolazione civile di Gaza e dei territori palestinesi ha pagato un prezzo altissimo per una guerra che non hanno voluto e che non hanno il potere di fermare. La narrazione ufficiale israeliana parla di operazioni militari mirate contro gruppi terroristici, ma la realtà sul terreno mostra una devastazione che va oltre qualsiasi obiettivo militare legittimo. Quando si colpiscono ospedali, scuole, case civili, non si parla più di legittima difesa: si parla di crimini contro l’umanità.
Tuttavia, l’empatia e il senso di giustizia ci impongono di riconoscere che ogni vita umana ha lo stesso valore, indipendentemente dalla sua provenienza, religione o etnia. Le madri palestinesi che piangono i loro figli hanno lo stesso dolore delle madri israeliane che hanno perso i loro cari. Quando la violenza diventa cieca e colpisce chiunque, la colpa ricade su chi ha il potere di fermare questa spirale distruttiva e non lo fa.
In questo contesto, è necessario fare una riflessione anche sul ruolo della comunità internazionale. Troppo spesso, di fronte a conflitti di questa portata, le istituzioni internazionali, come le Nazioni Unite, l’Unione Europea e altre organizzazioni, si sono limitate a esprimere condanne formali senza intraprendere azioni concrete per fermare la violenza. Le risoluzioni e le dichiarazioni di condanna sono importanti, ma non bastano. È necessario che la comunità internazionale agisca con decisione per fermare la spirale di violenza e per proteggere i civili.
La mancanza di un’azione decisa da parte delle potenze mondiali ha permesso che il conflitto continuasse senza freni, con un numero di vittime civili sempre crescente. La diplomazia internazionale ha fallito nel suo compito fondamentale: prevenire la perdita di vite umane e promuovere la pace. Le pressioni geopolitiche, gli interessi economici e militari, e i giochi di potere tra le grandi potenze hanno contribuito a mantenere il conflitto attivo.
Il 7 ottobre 2023 rimarrà impresso nella memoria come un giorno di grande dolore, ma deve anche servire come monito per il futuro. Il sangue versato non può essere giustificato né dalla rabbia né dalla vendetta. Oggi, piangiamo gli innocenti, con la speranza che un giorno la pace possa finalmente prevalere su quella terra martoriata. Le vite spezzate non possono essere riportate indietro, ma possiamo ancora lavorare per evitare che altre vengano distrutte. La storia giudicherà gli eventi di questi giorni, e speriamo che lo faccia con l’imparzialità e la giustizia che meritano. Consentitemi un’ultima riflessione, forse pessimistica, alla luce di quanto anzidetto, la preoccupazione oggi è l’aver constatato l’inutilità dell’ONU e della incapacità diplomatica di saper prendere e pretendere un ruolo mediatore da parte dell’Unione Europea. E’ questa, purtroppo un’altra tragedia.