28 giugno 1914: L’attentato di Sarajevo a Francesco Ferdinando d’Austria. Riflessioni di Eliano Bellanova
di Eliano Bellanova
L’alba del 1914 si aprì tristemente sulla vecchia Europa.
L’erede presuntivo dell’Impero Austroungarico, Francesco Ferdinando, doveva portarsi a Sarajevo, Capitale della Bosnia, per un banchetto offerto in suo onore dal Maresciallo di campo Potiorek. Il ricevimento avveniva dopo le manovre militari cui avevano preso parte i Corpi d’Armata di Ragusa, Zagabria ed Erzegovina, che avevano simulato un attacco alla Serbia.
La visita dell’Arciduca d’Austria fu interpretata dai nazionalisti serbo-bosniaci come una provocazione verso di loro, sebbene egli fosse di costumi liberali e filo-slavi. Malgrado il pericolo che incombeva sulla sua testa, Francesco Ferdinando non ritardò il viaggio e meno ancora vi rinunciò. Alle dieci di mattina il corteo ufficiale si avviava al lungofiume della Miljacka, da cui avrebbe raggiunto il Palazzo di Città. Durante questo percorso furono lanciate due bombe contro l’auto dell’Arciduca. Francesco Ferdinando e la moglie Sofia Chotek rimasero illesi, mentre le schegge ferirono il Conte Boos-Waldeck, il Tenente-Colonnello Merizzi, diversi cavalieri della scorta ed altre persone. La polizia si dette all’inseguimento dei colpevoli, sicché il corteo imperiale potette raggiungere la destinazione.
Il Maresciallo Potiorek, al ritorno, fece modificare l’itinerario prestabilito e impose al conducente dell’automobile dell’Arciduca di percorrere una piccola strada traversa per raggiungere prima il Palazzo del Governo. Mentre l’automobile dell’Arciduca girava lentamente l’angolo delle vie Francesco Giuseppe e Rodolfo, echeggiarono improvvisi i colpi di una pistola. Un uomo aveva tenuto nascosta l’arma sotto la giacca, l’aveva estratta ed aveva sparato due colpi contro la coppia imperiale. I colpi furono di grande precisione. Francesco Ferdinando d’Austria e la moglie Sofia Chotek de Chotkovan, Duchessa di Hohenberg, morirono all’istante. Il primo proiettile aveva spezzato in due la colonna vertebrale dell’Arciduca, mentre il secondo aveva reciso l’aorta della moglie.
I periti balistici furono sorpresi della precisione dei due colpi. Essi avevano una probabilità su diecimila di andare a segno.
L’attentatore fu subito arrestato: si trattava di uno studente serbo-bosniaco di diciannove anni, Gavrilo Princip, nativo di Oblej, nei pressi di Grahovo.
Il Conte di Paar raggiunse Francesco Giuseppe al Castello di Ischl per comunicargli la triste notizia. Il vecchio Imperatore esclamò costernato: È spaventoso, è spaventoso! Non mi viene risparmiato nulla su questa terra!
Vediamo perché Francesco Giuseppe si espresse così…
Il fratello Massimiliano fu ucciso in Messico, a Quèretaro, per aver inseguito il sogno dell’Impero.
Sua cognata Carlotta era stata colta dalla pazzia, mentre il suo unico figlio, Rodolfo, innamorato della bella Baronessa Maria Weczera, doveva andare incontro alla morte.
La cognata, Duchessa di Alençon, era stata bruciata viva.
La moglie Elisabetta, la celebre Sissy, che tanto ha ispirato la storiografia, la letteratura e la cinematografia, fu uccisa sul lungolago di Ginevra, in Svizzera, il 10 settembre 1898 dall’anarchico italiano Luigi Luccheni.
Citiamo alcuni altri attentati “storici”, poiché non fu certo Sissy l’unica vittima… Il 13 marzo 1881 Alessandro II di Russia fu ucciso da un anarchico.
Nel giugno 1894 Sadi Carnot, Presidente della Repubblica Francese fu assassinato dall’anarchico italiano Sante Caserio.
Il 29 luglio 1900 Umberto I, Re d’Italia, è assassinato dall’anarchico Gaetano Bresci.
Il 18 marzo 1913 cade vittima di un attentato il Re di Grecia, Giorgio.
Rasputin, a sua volta, a Pietroburgo sarà vittima di una congiura il 30 dicembre 1916.
Ci limitiamo all’Europa, ma il mondo civile è costellato di attentati storici: da Lincoln, a Gandhi, a Kennedy, la storia parla di sangue.
L’attentato a Francesco Ferdinando sarebbe stato, però, determinante per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Gavrilo Princip fu incarcerato con ventiquattro suoi complici. Tuttavia il giovane serbo si assunse la responsabilità del gesto, cercando di salvare gli amici. L’istruttoria fu opera del Giudice Filipovič. Il processo fu invece diretto dal Presidente Alois de Curinaldi, che si impegna per scoprire gli eventuali mandanti e complici.
I libri bianco (serbo) e nero (austriaco) recano errori ed omissioni, per cui gli storici non li ritengono credibili. I venticinque congiurati erano membri della società segreta Unione o Morte. Essi erano stati affiliati non appena usciti dal collegio o dagli studi superiori o dall’Università. Successivamente avevano ricevuto l’ordine di recarsi in Bosnia per fomentare rivolte contro l’Autorità Imperiale. Il Maggiore serbo Tankosič, spesso citato durante il processo, li aveva provveduti di armi e bombe, attraverso canali che conducevano alla Russia e alle Potenze dell’Intesa, soprattutto Gran Bretagna. Il Maggiore Tankosič non era tuttavia un primo attore, bensì una delle tante comparse che si aggiravano nel panorama dell’irredentismo slavo.
Chi si celava, dunque, dietro i personaggi secondari, ovvero, dietro le comparse? un uomo ambiguo e vile.
Costui aveva tentato di fare uccidere Re Nicola del Montenegro, Re Costantino di Grecia, Re Ferdinando di Bulgaria ed altri capi di Stato.
Questo importante personaggio fu il più importante organizzatore dell’attentato all’Arciduca Francesco Ferdinando.
Il suo nome è Dragutin Dimitrijevič ed era insignito del grado di Colonnello. Aveva rivestito la funzione di addetto allo Stato Maggiore Generale dell’Esercito Serbo e, successivamente, a Salonicco quella di Capo di un settore del Servizio Informazioni. Le autorità austriache ritennero responsabile del grave fatto il Governo di Belgrado, pur non disponendo di alcuna prova degna di tale definizione. Il Governo Serbo si difese accusando la Hofburg di Vienna, che sarebbe stata colpevole dell’attentato, al fine di inventare un utile pretesto per scatenare la guerra. I Gesuiti accusarono la Massoneria e questa accusò quelli. Anche queste accuse non furono suffragate da prove convincenti.
In realtà, l’attentato di Sarajevo era da ascrivere al catalogo delle società segrete, e, perciò, circondato di una fitta coltre di mistero, in cui si agitavano protagonisti e antagonisti, spie e controspie, del genere di Mata Hari e in tempi successivi del dottor Sorge.
Nel 1917 il Generale francese Serrail (convinto assertore della colpevolezza del soggetto costantemente indagato) fece arrestare Dragutin Dimitrijevič in circostanze abbastanza singolari. L’occasione propizia fu offerta da un incontro programmato in una villa della costa greca fra il Generale Comandante in Capo degli Eserciti alleati d’Oriente, Sir Charles Munro (da poco subentrato a Sir Ian Hamilton) e il Reggente della Serbia Alessandro. L’Ufficio Secondo fece ispezionare minuziosamente e prudentemente le cantine della villa. Fra le botti vuote fu rinvenuta una bomba munita di una miccia del tipo Pickford. I colpevoli, compreso Dimitrijevič, furono scoperti ed arrestati. Dragutin Dimitrijevič, riconosciuto come mandante e prezzolato dalla Mano Nera, fu sottoposto a processo e giustiziato con la fucilazione, malgrado fingesse di non essere in grado di intendere e di volere.
Le Cancellerie europee entrarono intanto in stato di agitazione per il tragico attentato di Serajevo e l’Austria, spinta dalla Germania all’intransigenza, fu propensa a rigettare le proposte del Governo serbo, che, invece, gradiva la soluzione diplomatica.
Lontana dalla realtà appare la posizione della Russia. Infatti telegrammi e messaggi a partenza da Zarskoje Selo non erano diretti alle Cancellerie europee, bensì al villaggio di Prokovskoie, nella provincia di Tobolsk, dove si era verificato un fatto molto importante a parere dello Zar Nicola e, in particolare, della consorte Alessandra.
Il monaco Rasputin era ricoverato in ospedale, precisamente a Prokovskoie. Da poco l’inquieto personaggio era stato nominato lampadnik, ovvero conservatore delle icone e cappelle imperiali. Prokovskoie era la sua patria… la patria dove egli, paradossalmente, era odiato… nemo propheta in patria… Dai suoi concittadini era infatti considerato un essere spregevole, un ladro di polli e un prete spretato. Una prostituta, affetta da infermità fin dalla nascita, Hionia Gusseva, che, ancora minorenne, era stata da lui violentata, durante un diverbio lo accoltellò al ventre, ferendolo gravemente. Tempestivamente ricoverato nel locale ospedale, la vittima fu sottoposta a laparatomia chirurgica, nel disperato tentativo di salvarla. Lo Zar, informato da un telegramma, fece partire immediatamente per Prokovskoie il suo chirurgo personale, che giunse quando l’intervento addominale era in corso. La zarina, fedele e forse innamorata del lampadnik, gli spedì ogni giorno doni speciali. Mentre Nicola II gratificava di attenzioni il celebre monaco, che godeva dell’assoluta devozione del figlio Alexej, affetto da emofilia, il mondo era in ansia.
Rasputin, dotato di eccezionale costituzione fisica, doveva sopravvivere al pugnale di Hionia Gusseva, mentre non sopravviverà alle pistolettate del Principe Yusupov, dopo una cena rivelatasi assassina.
Lo Zar, felice dell’esito positivo dell’intervento, potette dedicarsi… alla guerra, che sembrava ormai inevitabile. Infatti le Cancellerie europee si misero in movimento e la stampa viennese accusò apertamente il Governo serbo di collusione con gli attentatori della Mlada Bosna e della Narodna Odbrana, affiliate alla famigerata Mano Nera, che avevano armato la mano di Gavrilo Princip, lo studente serbo-bosniaco infiltrato nelle Regioni soggette all’Austria, che, dopo essere stata estromessa dalla Germania, aveva cercato e ottenuto compensi territoriali nelle regioni slave, scatenando irredentismo e patriottismo.
Durò quindici giorni il tragico balletto di picche e ripicche fra le Cancellerie di Belgrado e Vienna, mentre le altre Nazioni sembravano spettatrici impotenti. Il 20 luglio il processo Cailleaux (la signora Cailleaux era accusata di avere assassinato il Direttore de Le Figaro, Calmette) finisce sui giornali, sciorinando tutti i particolari fin allora inediti, scandalosi e tenebrosi. Il 23 luglio l’ultimatum austriaco alla Serbia strappa dal torpore la vecchia Europa. In quello stesso giorno lo sciopero di Pietroburgo è represso a colpi di sciabola dalla cavalleria zarista, che semina terrore e vittime. Il 25 luglio il barone Von Giesl, Ministro austriaco in Serbia, senza ambagi si dichiara insoddisfatto delle risposte di Belgrado all’ultimatum, sebbene fosse stato accettato per intero, salvo il punto che prevedeva la presenza di giudici austriaci nel processo Princip, per la quale cosa Pasic si rimetteva all’intervento del Tribunale Internazionale dell’Aja. Il 28 luglio scade l’ultimatum e l’Austria mobilita. Il Conte Berchtold fa affiggere in tutte le città il celebre proclama che giustifica la decisione del suo Governo, mentre a mezzogiorno del 29 luglio la Corte d’Assise della Senna pronuncia la sentenza di assoluzione della signora Cailleaux. Da poco sono cadute le prime vittime della guerra mondiale.
Guglielmo II di Germania, braccia diseguali, istrione come Nerone e militarista come Napoleone, reo di aver spinto l’Austria all’intransigenza, dal 3 agosto è della partita: le sue truppe violano la frontiera belga, dopo il laconico ultimatum richiedente il transito delle truppe imperiali, con il falso pretesto che le armate francesi avrebbero puntato di lì a poco su Namur. La Russia poco dopo è della partita anch’essa. Il celebre proclama dello Zar, con cui dichiara che la Russia è congiunta per fede e per sangue dei popoli slavi, è affisso in tutte le città ed incita a combattere i nemici comuni: la Germania e l’Austria-Ungheria. L’ottuagenario Francesco Giuseppe – per molti il furiere dell’Impero, per altri l’Imperatore degli assassinii, per altri ancora il Sovrano delle forche – che aveva ispirato vignette e motti satirici, lancia il suo vacillante Impero nell’ultima avventura, di cui non vedrà l’esito poiché nel 1916 abbandonerà la terra per trasvolare nell’aldilà.
I sovrani europei, congiunti da vincoli di parentela o di famiglia, partecipano, invece, di una guerra che non è più soltanto “dinastica”, ma di popolo, poiché essa coinvolgerà militari e civili in un’ecatombe che sarà superata soltanto dalla Seconda Guerra Mondiale, consegnando il Secolo XX al catalogo degli orrori, dei crimini e del triste viatico dell’era atomica.